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Possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo.
Il successo non è la chiave della felicità. È la felicità ad essere la chiave del successo. Se ami ciò che fai, avrai successo.
"Aiutare è bene Saper Aiutare ad Aiutarsi è ancora meglio "
La COMUNICA-AZIONE è un'ABILITA' e come tutte le abilità necessitano di approfondimenti per saperla gestire
Il modello Formazione Formatori in Microcounseling L.G. ideato da Liana Gerbi aiuta la persona ad aiutarsi a trovare "SOLUZIONI A PROBLEMI " e a incamminarsi verso obiettivi personali e professionali. Cambiare il IL PROPRIO MINDSET,cambiare ti ciò che pensi di essere determina ciò che sei e tutto ciò che senti determina le tue azioni.A te la scelta!
LE CAREZZE A SCUOLA
Chi comunica , orienta e dirige il proprio sforzo per farsi comprendere,
per influenzare, per valutare, per ascoltare ed esprimere: problemi, necessità,
interessi, opinioni, ecc. Tutto ciò ci permette di entrare in relazione di
comunicazione con gli altri.
Come esempio di tale atto comunicativo vogliamo presentare come avviene
l'investimento di energia che spesso viene richiesto nella relazione tra
insegnanti e allievi.
Ciò che il ragazzo comunica all'insegnante è influenzato dalla reciproca
percezione.
Il processo di percezione è determinato dalla valutazione che si ha della
persona con cui si interagisce. Questa valutazione definisce il processo di
attribuzione di intenzioni in funzione dell'azione comunicativa in atto tra gli
attori stessi della comunicazione: richiesta di aiuto, valutazione, ordine,
sanzione, ecc…L'allievo, in relazione alla sua attribuzione verso l'insegnante, per
comunicare deve investire la sua energia in differenti aspetti, tra cui:1. Comprendere ciò che l'insegnante vuole;
2. Capire come dovrebbe dire ciò che l'insegnante desidera;
3. Prestare molta attenzione a non dire o esprimere non verbalmente ciò che
l'insegnante non vuole sentirsi dire, viceversa fornire la risposta attesa;
4. Far comprendere all'insegnante ciò che egli stesso desidera.Se ci troviamo in un clima relazionale di tipo giudicante /doveristico o in una
situazione in cui non si sono mai elaborate congiuntamente, le reciproche
attribuzioni insegnante-allievo, una grande quantità di energia verrà
utilizzata dal ragazzo per auto-controllarsi in funzione dei punti 1 e 3
sopraesposti.
E' chiaro che un processo di questo tipo si sviluppa a danno dell'energia
utilizzabile invece in favore di una comunicazione efficace espressa dai punti
1 e 4 in funzione di un miglioramento dell' apprendimento e di una interazione
più soddisfacente per entrambi gli attori.UNA CHIAVE DI LETTURA RELAZIONALE
Quando due persone si incontrano cercano di stabilire delle relazioni e di
comunicare, essenzialmente per ottenere dei segni di riconoscimento che
potremmo definire con: stimolo, contatto, carezza, toccare, colpo, far centro,
riconoscere l'altro, colpirlo, gratificarlo, attaccarlo,… comunque, dirgli che
esiste e che ha importanza, nel bene e nel male. Queste carezze possono infatti
essere considerate come delle reali unità di misura delle relazioni umane.
Infatti, più la carezza sarà intensa, oppure svalutante, più la relazione sarà
considerata come positiva, oppure negativa, dalla persona.
Così, secondo l'Analisi Transazionale, l'intensità o la colorazione piacevole o
spiacevole delle nostre relazioni umane possono essere caratterizzate e in un
certo modo misurate, facendo riferimento al grado di carezza scambiate.All'origine di tutti i nostri rapporti esiste questo bisogno imperioso di
carezze. E' una vecchia storia!
Un individuo non può sopravvivere, se non a condizione che gli altri si
occupino di lui, pensino a lui, manifestino sentimenti nei suoi riguardi: ciò
si traduce in scambi, verbali e non verbali e in contatti psichici :
conversazione sorrisi, sguardi significativi, strette di mano, baci o carezze.
Ciascuno ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscere l'altro, di
scambiare carezze: "io esisto, tu esisti" (cfr. le esperienze effettuate su
neonati che muoiono per carenza di contatti fisici). OKEITA'
Questa sete di carezze è così importante che è stato provato che un individuo
preferisce ricevere dagli altri carezze negative, piuttosto che non riceverne.
LE CAREZZE A SCUOLAIl condizionamento culturale europeo non favorisce né l'espressione, né
l'accettazione delle carezze positive, siano esse condizionali, per cui l'altro
è riconosciuto per quello che fa, o incondizionali, per cui l'altro è
riconosciuto per quello che è, potendo ciascuna essere positiva o negativa. E'
un'affermazione che si può già verificare in famiglia: i genitori danno molta
più importanza al brutto voto del loro figlio in una materia, che alla sua
buona riuscita in un'altra disciplina.
Analogamente può accadere tra i diversi ruoli che interagiscono nella scuola,
per cui un incarico affidato in ottica collaborativa e ben svolto è considerato
una cosa normale e non sarà sanzionato positivamente, per contro, un insuccesso
sarà sottolineato e commentato. La carezza positiva è invece determinante se si
vuole rafforzare l'impegno nel lavoro di una persona.La stessa cosa è vera anche nel rapporto pedagogico.
E' nota infatti l'importanza d'aumentare l'interesse in colui che impara, per
stimolare in lui il desiderio di continuare ad imparare. Ora, per le stesse
ragioni di condizionamento culturale l'insegnante spesso è portato a non
lasciarsi andare ad "accarezzare positivamente" l'allievo, come, allo stesso
modo, quest'ultimo non s'aspetta di ricevere una carezza positiva. All'opposto,
sanzionare negativamente è ammesso, anche se è meno efficace.
Questa negazione di carezze positive si spiega col fatto che l'insegnamento è
basato sulla differenza illusoria tra l'insegnante che sa, che ha ragione, che
corregge e l'allievo che non sa, che ha torto, che deve essere emendato. La
carezza positiva, in un simile contesto, ha sentore di favoritismo (il
beniamino) ed è vissuto dalle due parti come colpevolizzante.Quando l'insegnante è confermato nel suo valore di pedagogo, vale a dire quando
constata che l'allievo lavora bene, la carezza positiva che gli dà è, alla
fine, una carezza che dà a se stesso, ma non appena la difficoltà del compito
lo rimette di fronte alla sua incapacità di pedagogo, alla sua difficoltà di
individuare la spiegazione adeguata alla comprensione dell'allievo, egli
toccato nel suo Bambino Adattato che non riesce, provvede subito ad accarezzare
negativamente l'allievo e in maniera incondizionata.
Si può dire nello stesso modo, che è a se stesso che indirizza quella carezza
negativa?
E' sempre lui che determina la realtà della situazione, è l'allievo che ne fa
le spese.
Ed è così che si deteriora il rapporto pedagogico. Imparare ad "accarezzare"
positivamente l'altro non è cosa comune.Tuttavia ciò rafforzerebbe la sua motivazione, gli darebbe fiducia e lo
condurrebbe verso la riuscita.
Una pedagogia fondata su carezze positive è molto più efficace di una pedagogia
repressiva fondata su transazioni di dipendenza e subalternità (Genitore
Critico – Bambino Adattato), e la relazione interpersonale così creata è
positiva sia per l'insegnante che per l'allievo.
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
SAPERE SAPER FARE SAPER ESSERE FORMATORE
E TU COME COMUNICHI CON TE STESSO E CON GLI ALTRI ?
IN:
- Ambito personale
- Ambito professionale
- Ambito relazionale
- Ambito manageriale
- Contesti educativi
- Contesti sanitari
- Contesti sociali
"Aiutare è bene Saper Aiutare ad Aiutarsi è ancora meglio " La COMUNICA-AZIONE è un'ABILITA' e come tutte le abilità necessitano di approfondimenti per saperla gestire .
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https://liana-gerbi-formazione---counseling-5.webnode.it/microcounseling-modello-l-g/
BULLISMO -Buone pratiche: innovare la comunicazione didattica attraverso il counseling
Iniziative per prevenire e fermare il Bullismo scolastico spesso prescrivono interventi di Counseling. Tuttavia, le strategie specifiche per la consulenza sul "disagio" non sono ben definite.
Per riuscire a fermare il comportamento aggressivo dei bulli o semplicemente per "migliorare " il clima in aula ,sarà opportuno che i consigli di classe delle scuole debbano prima capire le esigenze e le motivazioni , le situazioni che stanno dietro i comportamenti a rischio e la non efficace comunicazione tra le parti.
Possono essere suggerite informazioni e raccomandazioni specifiche per massimizzare l'efficacia nella comunicazione orizzontale e verticale all'interno dei consigli di classe, tra insegnanti curriculari, di sostegno e di supporto all'interno dell'istituzione scuola, prendendo in esame gli sforzi diretti ad aiutare bulli ad aiutarsi e a motivare a motivarsi al cambiamento, prendendo atto delle TENTATE soluzioni disfunzionali e attivando sempre nuove TENTATE soluzioni che se riconosciute funzionali potranno essere foriere di modificazioni nel qui e ora innescando un processo di concreto cambiamento nel rapportarsi prima di tutto a se stessi, poi agli altri e all'ambiente circostante.
Dal 2005 ho proposto prima come docente interna alla istituzione scolastica ,poi come formatrice
di corsi MIUR interventi di counseling scolastico:
Sicuramente notevole riscontro hanno sempre avuto negli anni i progetti:
Schoolcounseling per Motivare a Motivarsi
Schoolcounseling e utilizzo del computer per motivare e motivarsi; PAF Progetto di appoggio familiare per creare e condividere una zona franca pedagogica.
Le propostee progetti hanno tutt'oggi come finalità e obiettivi:
Sperimentazione di nuove modalità della didattica;promozione dello stato di benessere
dell'alunno e/o della sua famiglia; facilitare le abilità e la sicurezza personale;migliorare il
rispetto delle regole e degli spazi scolastici; prendere coscienza del proprio protagonismo; raggiungimento della salute del cittadino mediante il principio dell'auto-mutuo-aiuto; risoluzione di problemi legati allo scarso rendimento scolastico attraverso il problem solving; aumentare la consapevolezza di sé, per migliorare il livello di motivazione allo studio; ampliamento della cognizione delle potenzialità creative personali e interpersonali nella propria unicità e irripetibilità; approfondimento attività didattiche delle varie discipline; tendere ad un cambiamento personale e/o sociale; accentuare le relazioni faccia a faccia; promuovere l'assunzione di responsabilità dei singoli.
Il disagio scolastico e forme di bullismo interessano ormai sempre più l'ambito scolastico, familiare e sociale. In aggiunta alla possibilità di pericolo per l'incolumità fisica, sono in aumentato i rischi di assenteismo, la solitudine e una bassa stima di sé. Se il recupero a aiutare ad aiutarsi e al motivare a motivarsi viene meno, diminuiranno le probabilità di rendimento finalizzate al miglioramento dello sviluppo del personale pieno potenziale a scuola e quindi ci saranno più probabilità di impegnare le proprie ENERGIE in comportamenti inadeguati, dopo aver lasciato la scuola. Gli studenti che dimostrano manifestazioni di bullismo o nella scuola media sono stati considerati a grande rischio hanno quattro volte più probabilità di essere coinvolti in attività criminali più tardi rispetto a coloro che costituiscono gruppi omologati nel rispetto di regole.
È evidente nella ricerca e nella letteratura professionale che il COUNSELING per identificare o sospettare casi di disagio o di bullismo è una componente necessaria in programmazioni e progetti di ampio respiro volto a prevenire o fermare il bullismo (Davis, 2006). E' auspicabile che il successo del COUNSELOR , inteso come un DOCENTE facilitatore di comunicazione orizzontale e verticale , possa evitare le insidie di permanenza di DISAGIO in ambito scolastico stimoli attraverso ASCOLTO, EMPATIA, INCORAGGIAMENTO e ACCOGLIENZA nuove prospettive e nuovi punti di vista da affrontare insieme facendo
interagire le varie
AGENZIE EDUCATIVE: SCUOLA – FAMIGLIA – SOCIALE.
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
La Ruota della vita per migliorare se stessi
La ruota della vita, uno strumento di autoaiuto di cosa si tratta?
La ruota della vita è uno strumento che si presta ad attività di autoaiuto
Si tratta di un sistema di autovalutazione che ci permette di prendere consapevolezza della situazione in cui ci troviamo in un determinato momento della vita.È la raffigurazione delle aree più importanti della vita di ciascuno di noi.
Puoi disegnare la ruota della vita a mano. E si può utilizzare non solo per la parte personale, ma anche per la parte professionale e lavorativa.
Con la ruota è possibile misurare il livello di soddisfazione che abbiamo per ciascuna area della nostra vita nel qui e ora e capire in quali aree dovremmo intervenire, fissare degli obiettivi e migliorarle.
È fisiologico che, a seconda dei periodi della vita, prediligiamo alcune aree piuttosto di altre. Invece sarebbe opportuno che per una perfetta armonia psicofisica queste fossero bilanciate- La Ruota della vita, come analizzare i risultati
Ogni persona ha qualcosa da migliorare nella propria vita, anche di poco. Non bisogna scoraggiarsi perché ognuno può con un po' di coraggio e convinzione può cambiare, soprattutto perché molte categorie dipendono l'una dall'altra come ad esempio, la crescita personale con la carriera o il lavoro.
O ancora un punteggio basso dato al tempo libero può essere causato da poca disponibilità economica o troppo lavoro.
Ecco come leggere i risultati
- ·Valutazione da 8 a 10
La categoria che ha ottenuto questo punteggio è quella in cui siete soddisfatti, vuol dire che state lavorando bene su voi stessi e potete continuare a fare ciò che fate, vedendo anche dei miglioramenti.
- ·Valutazione da 5 a 7
Siete parzialmente soddisfatti ma c'è qualcosa che potreste migliorare.
- ·Valutazione da 0 a 4
Non scoraggiatevi, siete già a buon punto perché avete focalizzato il problema che vi affligge, iniziate a lavorare su questa categoria per capire in cosa potete o volete migliorare.ra di loro.
La ruota della vita funziona molto bene se, oltre a fotografare la tua situazione attuale, decidi una/due aree sulle quali cominciare a lavorare ed apportare dei micro-cambiamenti.
Devi darti un tempo definito, esempio un mese, e stilare una lista di cambiamenti e azioni che potresti effettuare…e farle!!
Mettere su carta le tue intenzioni serve, eccome!.
Se gli obiettivi li lasci nella mente vanno e vengono, dopo un po' scompaiono.
Scriverli invece è un atto di grande consapevolezza e focalizzazione.
Mettere nero su bianco "contrattualizza" l'impegno che hai preso con te stesso nel cambiare quello specifico aspetto.
L'INSEGNANTE EFFICACE
Maslow | Rogers | Il metodo integrato: Gordon |
Numerosi studi, anche di diversa matrice, hanno dimostrato come la creazione di un'atmosfera socio-affettiva favorevole nella classe sia una dimensione essenziale dell'apprendimento individuale. Un interessante contributo per la realizzazione di un miglior clima di classe viene offerto dall'applicazione del metodo di Gordon, che integra il pensiero di Maslow e di Rogers.
Maslow
Charles Maslow si è interessato della "psicologia della salute" come integrazione della "psicologia della malattia".
Ha cercato cioè di osservare attentamente le personalità sane e completamente realizzate, suggerendo il modo per non entrare nella malattia, e per sviluppare aspetti positivi della personalità. Egli, quindi, privilegia la prevenzione. Secondo Maslow, l'uomo è di natura buona, così come sono buoni i suoi bisogni fondamentali, i suoi sentimenti, le sue capacità. Il male è la trazione alla frustrazione delle esigenze positive verso la realizzazione. Sottolinea inoltre che l'uomo ha una evoluzione individuale che inizia nei primi anni di vita e non ha mai termine. La concezione dell'uomo che ne deriva è senza dubbio e ottimistica: un approccio al bambino in "positivo" facilitando la sua "natura buona" creando attorno a lui un clima di fiducia e libertà.
L'insegnante, per una sana crescita, deve favorire nei propri alunni alcune qualità:
- la percezione realistica degli individui e dell'ambiente;
- l'accettazione di sé, degli altri, della natura;
- la spontaneità, la sincerità e la naturalezza;
- la capacità di individuare e risolvere i problemi;
- godimento della compagnia degli altri, ma anche della solitudine;
- autonomia e indipendenza;
- capacità di cogliere aspetti nuovi nella realtà;
- carattere democratico, equilibrio morale;
- umorismo, creatività, originalità;
- capacità di vivere intensamente ogni esperienza.
Maslow ha scoperto che queste qualità si riscontrano nelle persone autorealizzate, che hanno cioè soddisfatto ad ogni livello i loro "bisogni". Quando i bisogni non sono soddisfatti le persone avranno problemi di crescita e di sviluppo personale.
La gerarchia dei bisogni di Maslow è : - bisogni sociali:
a) bisogno di appartenenza b) bisogno di accettazione
c) bisogno di affetto e di amore d) bisogno di intimità
e) bisogni di stima e successo f) bisogni di autorealizzazione
g) bisogni cognitivi ed estetici (conoscere e capire e bisogni di bellezza sono nella cultura di tutti)
I bisogni sono organizzati gerarchicamente secondo un criterio di priorità e di forza.Un grande vantaggio che la teoria di Maslow ci offre è quello di fornirci un fondamento logico per guardare le persone "problematiche" semplicemente come persone con bisogni insoddisfatti, senza per questo doverle giudicare "cattive" o "pericolose". Dalle formulazione teoriche e dalle ricerche di Maslow ci si pone l'interrogativo di come genitori ed insegnanti debbano porsi in relazione con il ragazzo per aiutarlo a crescere sano. Una risposta a questo interrogativo ci viene da Carl Rogers.
Rogers
Lo studioso pone al centro di tutto il processo educativo la relazione fra insegnante e allievo, fondata su stima e rispetto reciproci; in questa ottica l'insegnante deve saper essere autentico e l'allievo deve sentirsi in ogni momento accettato e amato.
E' importante che l'apprendimento si attui in un clima di libertà, che sia significativo, automotivato e basato sull'esperienza. Per Rogers l'insegnate non deve essere un pozzo di sapere ma deve essere in grado di stabilire un rapporto efficace con gli studenti. Deve essere genuino, essere cioè se stesso, in grado di esprimere i propri sentimenti positivi o negativi; deve avere stima delle capacità dell'alunno; deve avere comprensione, empatia, riuscendo cioè a capire ciò che prova lo studente, senza valutare o giudicare.
Afferma inoltre che tutta la vita è apprendimento e che l'insegnate è un facilitatore dell'apprendimento. L'insegnante sarà un facilitatore se diventerà membro del gruppo classe, se stabilirà un clima di fiducia e se mette a disposizione degli alunni le sue capacità e conoscenze. L'insegnante dovrà inoltre essere autentico, riconoscere i propri limiti e partecipare a livello emozionale alla vita della scolaresca. In qualsiasi situazione della vita è fondamentale riuscire a stabilire un autentico rapporto interpersonale e a tal fine è importante " saper ascoltare".
IL METODO INTEGRATO: GORDON
Thomas Gordon propone alcune metodologie utili per impostare un'efficace relazione fra insegnante e allievo e fra gli allievi stessi.Sottolinea il fatto che generalmente gli adulti controllano ogni azione del ragazzo favorendone spesso la dipendenza anziché l'autonomia. Questo perché non sono stati abituati a trovare una soluzione agli inevitabili conflitti senza che ne escano vincitori o vinti. La scuola da parte sua può diventare fonte di frustrazione sia per l'insegnante che per l'alunno: spesso il primo si sente frustrato perché gli alunni sono svogliati e disattenti, i secondi diventano degli stressati perché obbligati ad andare a scuola.
L'insegnante che tenta di dimostrarsi come una persona che sa tutto, senza difetti e che non sbaglia mai, sarà sempre in continua tensione, specialmente per mantenere la disciplina. Gordon sostiene, come Rogers, che l'insegnante dovrebbe tenere un atteggiamento genuino, autentico, esprimendo i propri sentimenti positivi e negativi. Dovrebbe, inoltre, accettare l'alunno per quello che è, facendogli sentire che gli viene data la massima fiducia senza criticarlo o correggerlo continuamente. Dovrebbe entrare in un rapporto di empatia con l'alunno trovando strategie per una migliore comunicazione.
Oltre il professore c'e' una persona! PARTE 1
" Nel vissuto quotidiano di un docente ci sono aspetti che solo un insegnante può capire e dire ad un altro insegnante. [...] "
Ho letto, con una vena di tristezza ,la serie di articoli sulla difficoltà di applicare una buona disciplina nelle scuole. Non ho potuto impedirmi di
pensare tutte le difficoltà che vivono molti insegnanti e al dramma umano che si muove dietro la loro persona. Tuttavia sono contento che certe
situazioni siano rese pubbliche. Magari alcuni responsabili dell'educazione apriranno gli occhi, forse, e attueranno ciò che è necessario. Vorrei
esprimere il mio punto di vista di insegnante sul vissuto quotidiano di una carriera che, di solito, è stata intrapresa per passione ma che sempre più docenti cominciano a detestare prima di tutto a causa di situazioni di questo tipo!
Quando esercitiamo una professione vogliamo farla bene, naturalmente. Voler insegnare bene è un fine altamente desiderabile. Ma è necessario percepire se stessi come un buon docente se si vuole insegnare bene. Cosa mi permette di affermare di essere un buon docente? Certo ognuno può verificare questa
convinzione, questa soddisfazione di se stesso. Ma è necessario avere un'immagine di sè che rifletta questo giudizio. Che immagine hanno di se stessi questi numerosi insegnanti che hanno alunni indisciplinati che se ne fregano completamente di loro ? Come costruire un'immagine positiva di sé quando si ha davanti una classe che mette in ridicolo ciò per cui diamo la nostra vita lavorativa: l'apprendimento e il gusto di imparare in una relazione umana che vuole essere educativa?
In uno studio molto approfondito, realizzato attraverso numerose interviste a docenti, Ada Abraham(L'Enseignant est une personne, ed. ESE) ha tracciato ciò che sembrava fondamentale ai docenti per esercitare la loro professione in un clima di benessere personale e professionale. A seguito si queste conversazioni si sono manifestate tre grandi preoccupazioni dalla tendenza positiva:
1. I docenti danno importanza allo stabilirsi di relazioni positive con i propri studenti.
2. La preoccupazione di favorire lo sviluppo intellettuale degli alunni.
3. Una forte adesione tra la persona che sono e l'educatore che vogliono essere.
Ed hanno rilevato tre grandi timori.
1. Hanno paura dell'autorità superiore o comunque il dovervi ricorrere per mantenere la disciplina in classe.
2. Essi temono il gruppo degli alunni o sono smarriti davanti alla classe.
3. Sono incapaci di una relazione positiva con gli studenti.
Ecco le profonde tendenze dei docenti. Rileggiamo gli articoli alla luce di queste tendenze espresse dagli insegnanti, sottolineiamo come queste tendenze arrivino al cuore della persona che vuole agire con professionalità nella sua classe. Queste tendenze rivelano fino a che punto i prof. percepiscono se stessi come persone al centro di una rete relazionale complessa. C'è lo studente, ci sono gli studenti, l'autorità e il docente stesso che, quotidianamente si confronta con ciò che compone la specificità della professione docente : una rete di relazioni umane all'interno di una classe, di fronte ad una trentina di studenti che acquisiscono dei saperi, che apprendono un saper fare e un saper essere. Ecco cosa costituisce la grandezza di questa professione, in teoria.
Qual'è la vera profondità del mestiere di insegnante vissuta dal corpo docente oggi ?
In un mondo in cui la « performance »* è considerata un criterio di qualità, il docente è valutato, anche lui, su quanto svolge prima e sopra tutto in termini di quantità dal momento che lo Stato e i Sindacati hanno contrattato dei sinonimi convenzionali per un lavoro basato sulla quantità.
Tra le altre cose deve svolgere molte ore di lezione ed ha un numero elevato di studenti per classe.. Attraverso questa quantità e in questa difficile condizione ci si aspetta che garantisca una qualità nell'azione educativa.
Viviamo in un modello industriale e tecnologico, tutto deve essere misurabile e la scuola non scappa. L'insegnante è misurato per i livelli raggiunti dai suoi studenti, dal suo
tasso di assenze, dalle sue ore di lezione, dalle sue lunghe vacanze. Presto o tardi arriverà lui stesso a valutarsi in relazione ai criteri del suo rendimento. In molti commettono questo errore disastroso ma non hanno scelta. Devono cercare di somigliare a quel modello "performante"che ci si attende da loro ma che, per la maggior parte del tempo, non corrisponde a ciò che sono o che vorrebbero essere. Il buon insegnante è qualcuno che "è" o qualcuno che "fa"?
Così per molti docenti la scuola diventa il luogo della grande routine burocratica. E' un modo per consolarsi, per trovare sicurezza in questo luogo dove non possono essere se stessi né come persone che come professionisti. Certo, dà sicurezza ma quanto è monotono e demotivante.
La fine dell'ultima lezione annuncia la grande liberazione, dalla quale può finalmente ritornare se stesso.
In fin dei conti è probabilmente in questo la causa, la diagnosi e la conseguenza dell'insoddisfazione di diversi insegnanti a scuola: non puoi essere te stesso.
Eppure sappiamo come la psicologia umanista ci abbia impregnato di questa evidenza: se il tuo vissuto professionale è quello che sei sono in adesione, tu sei coerente e quindi è aperta la strada ad un sentimento autentico del sè.
Ma se si verifica la scissione del vissuto e del sentimento di essere si ha inevitabilmente la distruzione dell'uno o dell'altro o addirittura di tutti e due. Presto o tardi ci sarà la distruzione del sé.
Il burn-out o la depressione non sono forse indice di questo fenomeno in diversi docenti? Infatti essi hanno l'impressione di dover reprimere ciò che sono nel fondo di se stessi per sopravvivere in classe. La classe diventa spesso il luogo di una lotta di potere costante tra insegnante e allievi.
Talvolta il docente assume la leadership della classe ma se ha uno sbalzo d'umore può distruggere in un attimo quel che ha costruito in mesi. In diversi vivono con ansia lo sguardo di trenta paia di occhi che aspettano il minimo errore. Aggiungiamo a ciò il debole riconoscimento di valenza sociale che la società attribuisce all'insegnante e con questo si chiude il cerchio su una constatazione molto devalorizzante del docente. In quest'ottica noi operiamo una contrazione continua sulla nostra personalità.
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IL COUNSELOR E' FORMATORE?
Può apparire domanda non a tema e in effetti tra le abilità e competenze del counselor la sua responsabilità di formatore difficilmente è contemplata, anzi direi che proprio non viene citata ed è comunque implicita.
Come sarebbe possibile al counselor prendersi cura dell'altro, che sia adulto o che sia in età evolutiva, se non sentisse e vivesse in sé il ruolo di formatore? come potrebbe aiutare l'altro ad aiutarsi se il counselor, a prescindere dall'approccio scelto, non abbia una allenata competenza a comprendere che cosa significhi formarsi per se stesso e dunque per l'altro?
Le abilità di problem solving che si collocano al termine di un percorso di counseling che altro sono se non capacità di individuare e attuare soluzioni coerente con la forma che ciascuno sente propria per la vita per le relazioni con se stesso e con gli altri?
Per queste e per innumerevoli altre situazioni peculiari e caratterizzanti l'efficacia del counseling, il counselor è formatore, è l'agevolatore che aiuta la persona in aiuto a chiarire a se stessa bisogni desideri sogni e a distinguere tra loro, a creare priorità per trovare la propria forma.
Anche la formazione è strettamente legata al cambiamento in quanto alla sua base è l'apprendimento che è cambiamento: formare è dunque un processo che tenda a dare forma, in cui forma è intesa secondo i fondamenti dell'antropologia pedagogica come assunto dell'essere in divenire dell'uomo, a far sì dunque che assumano una forma attitudini, aspirazioni, opportunità di crescita di ogni individuo.
Il processo di formazione richiede condizioni ben precise, come ad esempio: il partire dall'analisi dei bisogni più o meno espliciti del/i soggetto/i coinvolto/i; l'impegnarsi da parte del facilitatore in un processo comune di ricerca e nel costruire congiuntamente all'interlocutore o interlocutori la valorizzazione e il recupero delle esperienze pregresse; il basarsi, quando l'interlocutore è un adulto o un gruppo di adulti, sui princìpi dell'andragogia per cui l'adulto apprende dalle proprie esperienze, intendendole la sua risorsa permanente e discriminante primaria nell'accettare o rifiutare il cambiamento; il sostenere il cambiamento nel dopo, quando ostacoli esterni o rinvigorito scetticismo potrebbero compromettere i risultati di un corretto e nutrito processo di formazione.
È evidente che il counseling si nutre esattamente di queste condizioni, prima fra tutte il coinvolgimento empatico del counselor nei confronti della persona in aiuto, o quell'incontro di follow up previsto proprio come l'esplorazione del cambiamento attraverso i risultati concreti realizzati dalla persona che era in aiuto, dopo il percorso di counseling.
Forse che il counselor si adopera per altri obiettivi, con altri intenti, modalità, strategie, forse che il counselor può augurarsi qualcosa di diverso per la persona o le persone che gli chiedono aiuto?
"La" vera domanda da porci è: se il counselor è formatore e dunque facilitatore nel dare forma, come può assolvere a questo suo ruolo se egli stesso non ha preso forma?
G.Mandozzi
La motivazione è la forza che spinge l'uomo ad agire per soddisfare le proprie esigenze.
Aiutare è bene Saper Aiutare ad Aiutarsi a Motivare e a Motivarsi è ancora meglio "
La COMUNICA-AZIONE è un'ABILITA' e come tutte le abilità necessitano di approfondimenti per saperla gestire
La motivazione è la forza che spinge l'uomo ad agire per soddisfare le proprie esigenze.
Una persona manifesta molteplici necessità che possono essere differenziate in base all'importanza che hanno per le funzioni vitali. Per questo i bisogni sono stati classificati prendendo in considerazione la rilevanza di essi per la nostra sopravvivenza.
A partire dal livello più basso, abbiamo:
- i bisogni fisiologici, quali il mangiare, il dormire, il respirare, strettamente legati alle funzioni corporee
- i bisogni di sicurezza, per sentirsi protetti. Il bambino ha bisogno dei genitori per questo motivo
- i bisogni di appartenenza e di amore, corrispondono all'esigenza di sentirsi parte di un gruppo, di dare e ricevere amore
- i bisogni di riconoscimento e di rendimento indicano l'esigenza di essere riconosciuti come persone capaci, di sentirsi meritevoli e competenti
- il bisogno di realizzazione di sé, viene soddisfatto quando una persona riesce a sviluppare in pieno le proprie capacità
- il bisogno di trascendenza implica l'andare oltre la propria individualità per sentirsi parte di qualcosa di più grande, di ordine cosmico o divino.
Una condizione indispensabile per riuscire a soddisfare i bisogni collocati ai livelli superiori è che tutti quelli di ordine inferiore siano stati soddisfatti. Avete mai sentito il detto "non si può pensare a pancia vuota?". I bisogni posti ad un livello più alto richiedono maggiori capacità per essere realizzati, capacità che si sviluppano nel processo di crescita. Un bambino imparerà prima di tutto a mangiare, a cercare i genitori. Solo quando sarà più grande sentirà il bisogno di avere degli amici e ancora dopo vorrà ricevere i complimenti per un bel voto a scuola. Nella prima età adulta si inizierà a sentire l'esigenza di essere orgogliosi di sé, magari attraverso un lavoro impegnativo che gode di buona considerazione a livello sociale.
C'è un forte legame tra l'emozione (di cui si parla più approfonditamente in uno degli articoli di questa rubrica) e la motivazione. Potremmo dire che le emozioni mettono in luce come si reagisce ad uno stimolo, sia a livello psicologico che fisico, mentre la motivazione ci dà informazioni sul perché la persona sia spinta ad agire in un determinato modo. Ad esempio, uno studente dedica il fine settimana allo studio rinunciando al divertimento perché vuole prendere un bel voto quando sarà interrogato il lunedì mattina (motivazione), ma al momento di affrontare l'interrogazione, come starà? Potrebbe essere agitato e sentire il cuore battere più forte, impallidire quando il professore lo chiama, sentire i muscoli tesi (emozione).
È importante sottolineare che non tutti sentiamo gli stessi bisogni, ma essi sono legati alla nostra individualità, all'appartenenza ad un gruppo, ad una cultura. Ad esempio lo studio dei consumi presta grande attenzione a questi fattori per comprendere quali sono le motivazioni inconsce del consumatore. Questo tipo di studi hanno contribuito a mettere in luce l'importanza delle emozioni nella motivazione, contraddicendo la credenza secondo cui le persone motivate agiscono secondo i criteri della razionalità. Si è visto che le scelte del consumatore sono spesso dettate dai bisogni di prestigio, di conformarsi ad un gruppo per sentirsi parte di esso, di dipendenza, di identificarsi con il leader, oppure dalla necessità di differenziarsi, di resistere alle pressioni sociali. Per soddisfare queste esigenze le persone si comportano secondo modalità difficilmente spiegabili con la logica ed acquistano oggetti per ciò che essi rappresentano e non per la loro effettiva utilità. Ad esempio, la scelta di abiti, di oggetti o di stili di vita sono rappresentativi, da un lato, dei gusti personali, ma dall'altro raccontano molto dell'ambiente di provenienza, della voglia di trasgressione o di dipendenza.
Prof. Liana Gerbi
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La SCUOLA che VORREI
Lo scrittore e giornalista Domenico Starnone dipinge "una scuola che vorrei", una scuola che, però, non mi sembra compaia in alcuna riforma, in alcuna enunciazione di principio da parte di politici e di insegnanti.
Ma ecco l'elenco del peggio e del meglio della scuola:
1. La scuola peggiore è quella che si limita a individuare capacità e meriti evidenti. La scuola migliore è quella che scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero.
2. La scuola peggiore è quella che esclama: meno male, ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta. La scuola migliore è quella che dice: che bella classe, non ne abbiamo perso nemmeno uno.
3. La scuola peggiore è quella che dice: qui si parla solo se interrogati. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara a fare domande.
4. La scuola peggiore è quella che dice: c'è chi è nato per zappare e c'è chi è nato per studiare. La scuola migliore è quella che dimostra: questo è un concetto veramente stupido.
5. La scuola peggiore è quella che preferisce il facile al difficile. La scuola migliore è quella che alla noia del facile oppone la passione del difficile.
6. La scuola peggiore è quella che dice: ho insegnato matematica io? Sì. La sai la matematica tu? No. 3, vai a posto. La scuola migliore è quella che dice: mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato
7. La scuola peggiore è quella che dice: tutto quello che impari deve quadrare con l'unica vera religione, quella che ti insegno io. La scuola migliore è quella che dice: qui si impara solo a usare la testa.
8. La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre. La scuola migliore va in strada a riprendersi chi le è stato tolto.
9. La scuola peggiore dice: ah com'era bello quando i professori erano rispettati, facevano lezione in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciavano il figlio dell'operaio. La scuola migliore se li ricorda bene, quei tempi, e lavora perché non tornino più.
10. La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti. La scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti.
In questo decalogo ho incontrato la scuola migliore e peggiore che in questi anni ho incrociato da genitore, da professionista, da chi a scuola come nella vita è convinto che alla noia del facile vada opposta la passione del difficile.
Quella stessa passione che mi ha permesso di conoscere, ad esempio, persone accusate di efferati delitti festeggiare in cella, prima il diploma e poi la laurea conseguiti in carcere.
Su questo tema mi sembra che troppi stiano andando nella direzione della scuola peggiore, quella che non vuole faticare.
Non saprei definire in altro modo i volti attoniti degli insegnanti che, dopo aver descritto con enfasi classi iperattive, vivaci e un po' destabilizzanti e aver attribuito a quei comportamenti tutti i mali di una didattica a singhiozzo, non sanno rispondere ad una domanda semplice, semplice: "Che fare per uscire da questa situazione, che fare per riportare nel solco della correttezza chi è sopra le righe?" Meglio dire "meno male ne abbiamo bocciati sette, finalmente abbiamo una bella classetta" o "che bella classe non ne abbiamo persone neanche uno"?
E' un dilemma, questo, sul quale ci troveremo a costruire il nostro futuro e c'è voluta una trasmissione tv per ricordarcelo e farci riflettere un po'.
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
Diario di scuola: un libro per lo Schoolcounseling
E' la scuola la protagonista di questa opera, l'istituzione scolastica vista non attraverso la prospettiva dei genitori e degli insegnanti, ma attraverso un'angolazione del tutto insolita, quella del "somaro".
Anche agli studenti più brillanti sarà capitato, una volta nella vita, di sentire il vuoto cosmico dell'ignoranza penetrare nel cervello. La sensazione di buio, solitudine e incapacità di fronte alla traccia di aritmetica, o alla domanda di storia; la certezza di non sapere, di non potercela fare, un enorme e indefinito punto interrogativo nella testa. Ci sono studenti a cui capita di inciampare nel vuoto cosmico quasi per caso, altri invece ne fanno un vessillo da brandire per tutta l'adolescenza, rinchiusi nella rassegnata consapevolezza di non poter mai superare quello "zero" scritto in rosso sul compito di matematica.
Pennac è stato uno di questi bambini. Nato da una famiglia benestante, ultimo di quattro fratelli laureati a pieni voti e figlio di professionisti, si scopre presto refrattario alla conoscenza, all'assimilazione dei concetti, alla memorizzazione. Scopre il suo senso di impotenza e inadeguatezza, al quale sopperisce con incredibili e sfacciate bugie dette alla famiglia e agli insegnanti, in una spirale da cui spesso si esce solo con l'abbandono scolastico. A meno di non incontrare un insegnante capace salvarci dalla condizione di ignoranti impenitenti.
La redenzione del somaro è avvenuta molte volte nella storia della scuola e avviene ogni qual volta ci si imbatte in quegli strani personaggi che vivono immersi nella loro materia: professori che non sanno e non pretendono di avere dei proseliti, ma che sono così innamorati del loro mestiere da suscitare un istintivo impulso di emulazione.
In queste pagine Pennac traccia molti esempi di buoni e cattivi maestri e di asini più o meno redenti attraverso le storie vissute durante la sua attività di insegnante. Un viaggio affascinante tra i temi caldi della pedagogia, ma anche un bellissimo saggio che descrive e analizza la situazione della società francese, i conflitti generazionali, le contestazioni dei giovani delle banlieues, simbolo della difficoltà di integrazione ma anche dell'inefficienza di un sistema scolastico incapace di mediare tra le diverse istanze provenienti dalla società. Da queste pagine emergono temi attualissimi del dibattito istituzionale della Francia contemporanea ma anche degli altri Paesi europei, argomenti che sfociano nell'analisi della relazione di potere tra studente e insegnante, tra adolescenti e genitori.
Un saggio che si legge tutto d'un fiato, perché scevro dai toni didascalici tipici della materia, un libro che aiuta a riflettere attraverso la sperimentazione di nuovi punti di vista, un nuovo esempio di maestria narrativa da parte di un "ex somaro" ormai capace di grande saggezza ma, come sempre, incapace di salire in cattedra.
Oltre il professore c'e' una persona! PARTE 2
Anche nelle classi considerate più normali ci si aspetta che questa persona sia un docente super, in modo mitico: sempre calmo, imperturbabile, senza perdere mai la pazienza; senza pregiudizi né partiti presi, senza preferenze nei confronti degli studenti; tutti i giorni con lezioni sempre eccitanti e stimolanti in classi sempre a posto ; costante e senza errori ; con risposte per tutto con una saggezza a tutta prova e soprattutto in una grande solidarietà con i colleghi.
Alcuni, volendo conformarsi a questo modello mitico di super docente , negano se stessi e, inevitabilmente, a fronte di sconfitte successive, si scoraggiano, sono frustrati e soffrono di sentirsi incapaci di essere all'altezza della situazione. La grande distruzione del sé è voler rispondere a tutte le esigenze al prezzo di se stessi.
Sarebbe finalmente il momento di pensare i docenti in termini di bisogno di essere e meno in termini di compiti da svolgere.
Diverse ricerche hanno dimostrato l'importanza di una realtà che sembra comunque evidente : la personalità dell'insegnante è considerata tra i più importanti fattori di successo e di realizzazione di situazioni di apprendimento di qualità Si sospetta l'importanza di questo elemento per una relazione educativa di qualità. In effetti per essere un buon insegnante
bisogna star bene nella propria pelle.. Fondamentalmente ciò che il docente insegna, al di là delle parole e degli artifizi pedagogici, è quello che è e quello che prova , alla condizione di star bene con se stesso, di essere se stesso. In classe egli ha, non solo il diritto di essere se stesso, ma addirittura il dovere di esserlo.
E' urgente prendere provvedimenti per personalizzare e professionalizzare di più questa professione affinché l'atto educativo, ragion d'essere dell'insegnamento , sia personalizzante rendendo autonomi e responsabili gli studenti. In effetti oltre gli studenti ci sono delle persone ! Oltre gli insegnanti ci sono delle persone.
P.S. In seguito a questo articolo quale immagine avrà di noi la società?
Quanti giovani vorranno venire a raggiungerci nell'insegnamento ? Quanti faranno le cose con criterio, sapendo che è la professione più bella, più importante più esigente, più appassionante?
Articolo tratto da https://www.umoncton.ca/leprof/accueil/ nella sezione Réflexions pédagogiques
Il sito è di Richard Desjardins professore titolare di Scienze dell'Educazione (Traduzione di Silvana Boccara) da www.gildains.it
Faculté des sciences de l'éducation Université de Moncton Moncton, Nouveau-Brunswick, Canada E1A 3E9Clicca qui e inizia a scrivere. Sed ut perspiciatis unde omnis iste natus error sit voluptatem accusantium doloremque laudantium.
LIFE SKILLS
•Questo termine è solitamente associato ad un insieme di abilità necessarie per vivere una vita di qualità, sviluppare il nostro massimo potenziale e fronteggiare le sfide quotidiane.
•Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) con il termine Skills for life "si intendono tutte quelle skills (abilità, competenze) che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.
• La mancanza di tali skills socio-emotive può causare, in giovani e adulti , l'instaurarsi e degenerazione di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress
10 life skills per a ffrontare le vicissitudini dell'esistenza
•Decision making (capacità di prendere decisioni);
•Problem solving (capacità di risolvere i problemi);
•Creatività;
•Senso critico;
•Comunicazione efficace;
•Skills nelle relazioni interpersonali;
•Autocoscienza;
•Empatia;
•Gestione delle emozioni;
•Gestione dello stress.
•Ecco le principali life skills funzionali a garantire un maggiore benessere psicofisico di bambini -ragazzi - adulti . Ma cosa sono esattamente le life skills?
•Le life skills sono quell'insieme di competenze, abilità personali, cognitive, sociali, emotive e relazionali che permettono agli individui di affrontare le sfide quotidiane della vita, rapportandosi a sé stessi e agli altri con fiducia nelle proprie capacità e con atteggiamento positivo e costruttivo.
•10 abilità fondamentali per la vita, che ti aiuteranno a:
• Conoscerti e capirti meglio
• Esprimere il tuo massimo potenziale
• Ottenere soddisfazioni personali e realizzarti
•Le life skills sono un argomento molto dibattuto negli ultimi anni soprattutto per quel che riguarda l'educazione di bambini e adolescenti, sono nati infatti dei training per le life skills da insegnare nelle scuole rivolti a chi si occupa di educazione ma anche chi si occupa di crescita personale e vuole migliorare se stesso... NELLA PROPRIA VITA QUOTIDIANA E NELLE ORGANIZZAZIONI
SITO WEB LIANA GERBI COUNSELOR FORMATORE AIF
Prof. Liana Gerbi
https://liana-gerbi-formazione---counseling-5.webnode.it/
Suggerimenti per lavorare in team
Serietà -Schiettezza -Ascolto attivo-Partecipazione-Cooperazione
Flessibilità-Impegno
Quanto riusciamo a mettere in pratica questi suggerimenti ?
Leggevo circa le dinamiche di gruppo.
Lewin ,Psicosociologo statunitense di origine tedesco-polacca, nato a Moglino (Posnania) il 9 settembre 1890, morto a Newtonville (Massachusetts) il 12 febbraio 1947,affermava che " un gruppo tende a durare nel corso del tempo solamente se i suoi membri hanno forti motivazioni che li spingono a fare in modo che il gruppo continui ad esistere".
Ogni volta che si ha quello che i sociologi chiamano "crollo dei livelli emozionali" all'interno di un determinato gruppo si ha la fine del gruppo stesso.
Invece mette in evidenza che in gruppi patologici ( cioè quelli che presentano alterazioni abbastanza gravi di personalita') il leader che emerge quasi sempre è l'elemento più patologico.
Come sappiamo un ottimale funzionamento del gruppo devono coesistere una forte coesione interna, presenza di individui dotati di notevoli qualità e capacità, sufficienti motivazioni per raggiungere i fini propri del gruppo.
Molti studi si concentrano su un altro aspetto della persona quando potere e protagonismo sono presenti nella stessa persona.
Ciò porta a definire il potere come la capacità di ottenere obbedienza.
Weber r (1864-1920) è considerato uno dei padri fondatori della sociologia ,parlava di " potere come forza", mentre Macchiavelli parlava di " leoni e volpi" , cioè la forza e la persuasione.
Henrich Popitz (sociologo(1925-2002) )vede il primo potere come imposto dall'alto con la forza e la paura.
Potremmo dire che dalle manie di protagonismo a quelle di persecuzione e' un attimo.
F.Grossi
Suggerimenti per lavorare in team
Lavorare in team è una sfida continua, perché talvolta è già dura lavorare da soli, immaginiamo quando il risultato finale dipende dal lavoro armonico e coordinato di più persone. Tuttavia, come in ogni cosa, è questione di abitudine e di seguire qualche piccola regola che con il tempo verrà naturale applicare.
Qui sotto, una lista di elementi imprescindibili per rendere una squadra vigorosa e produttiva.
Serietà
Ciascun membro deve mostrarsi serio e affidabile, rispettando gli impegni ed essendo puntuale. Il ritardo di uno ha un impatto sul lavoro anche degli altri. Quindi, tutti devono mantenere la concentrazione e rispettare le scadenze, completando le proprie attività secondo i tempi e le modalità stabiliti.
Schiettezza
Ogni persona è diversa ed è difficile che tutti si pensi allo stesso modo. Per questo motivo, è importante essere educati ma schietti e trasparenti. Trovare il modo di esprimere i propri sentimenti e le proprie sensazioni in maniera pacata e serena gioverà al processo e al risultato finale.
Ascolto attivo
In pratica, completa attenzione al messaggio dell'interlocutore. Ascoltare i colleghi evitando distrazioni, per rispondere in maniera pensata e consapevole. Questo tipo di ascolto si differenzia da quello passivo che è superficiale e limita l'interazione.
Partecipazione
Un gruppo è essenzialmente le persone che lo compongono, che ne costituiscono la linfa e l'essenza vitale. Lavorare in team vuol dire quindi essere parte, assolutamente attiva, di un processo all'interno del quale devono trovare spazio tutti gli attori che sono coinvolti, ognuno con il proprio compito e il proprio ruolo in vista dell'obiettivo comune. Condividere idee, spunti, riflessioni, proposte, dubbi e timori, informare gli altri sul proprio operato e tenersi informati su quello altrui sono atteggiamenti essenziali per riuscire a fare in modo che ogni attività sia perfettamente integrata con le altre.
Cooperazione
L'aiuto e il supporto reciproci sono la base fondante di qualsiasi gruppo di lavoro. Si lavora in gruppo, l'azione è comune e quindi non c'è proprio modo che un singolo abbia successo senza che lo abbia il team nel suo complesso.
Flessibilità
Tante persone significa tante teste, e quindi tante esigenze, tante necessità, tanti modi di lavorare differenti e tante strategie operative. Questo implica tolleranza, flessibilità e capacità di adattamento. Non è detto che il nostro personale punto di vista sia quello più giusto e lavorare in gruppo è sicuramente uno spunto per metterlo in discussione.
Impegno
L'impegno è la chiave di qualsiasi risultato, individuale o di gruppo che sia. Qualsiasi successo che avrai ottenuto, sarà dovuto al fatto che ti sei impegnato. Non sottovalutare l'impegno neanche quando lavori con più persone.
Bene, a questo punto speriamo di averti chiarito un po' le idee su cosa significa lavorare in team.
Nel mondo del lavoro attuale, capita sempre più spesso di dover lavorare in squadra, perché i ritmi sono frenetici e le mansioni articolate. Spesso i processi aziendali sono basati su vere e proprie catene di montaggio, dove ciascuno ha un ruolo che ha un impatto rilevante sull' insieme sono persone che preferiscono lavorare in team e altre singolarmente. C'è chi apprezza svolgere tutto in completa solitudine e chi invece non vede l'ora di confrontarsi e collaborare.
I casi e i contesti personali e organizzativi sono i più vari.
Quanto riusciamo a mettere in pratica questi suggerimenti ? SICURAMENTE ATTRAVERSO PERCORSI DI
COUNSELING ORGANIZZATIVO
FORMAZIONE FORMATORI NEI VARI CONTESTI
PER MIGLIORARE LE RELAZIONI ATTRAVERSO LA COMUNICAZIONE EFFICACE VERBALE E NON VERBALE
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
A scuola, sentirsi leader e ... non esserlo
ESSERE LEADER parte 1
Molti hanno l'aria di esserne ben convinti: leader e manager si diventa ...dopo aver frequentato l'apposito Corso, obbligatoriamente –e gratuitamente- previsto dal Ministero. Si diventa, cioè si acquisiscono d'emblée, e fino alla fine della propria carriera, abilità e capacità, attitudini alla comunicazione efficace, al sostegno e alla valorizzazione delle risorse umane, ecc...
Se anche voi nutrite qualche dubbio in proposito e noi ne abbiamo (e di fondati) molti, abbiate la cortesia di seguirci in questo breve itinerario che ci conduce lontano dalla nostra terra, proprio per meglio osservare e comprendere la nostra realtà culturale, ambientale, emotiva.
Forse non è un caso che termini che hanno a che fare con la variabile relativa alla didattica e all'organizzazione dei processi formativi, come ad attività in gruppo sottoposte a monitoraggio o provate capacità manageriali figurino nel nostro vocabolario declinati rigorosamente in lingua inglese: leader, manager, management, fall up, default, know out, accountability, .........................
Non esistono parole nella nostra lingua che possano tradurli?
Il problema è altro e altrove ubicato: sono termini che forzano la nostra attenzione a rivolgersi a ciò che sentiamo profondamente estraneo a noi, alle nostre abitudini culturali, alle modalità di intervento che vantiamo come una gemma preziosa: l'approccio radicalmente individuale ad ogni problema, nella nostra vita come nel nostro ruolo di docenti/formatori/dirigenti nella scuola.
Abbiamo un po' tutti fatto esperienza di come vengono interpretati –o, meglio re-interpretati- i ruoli di organizzatore di determinate attività, di specifici Progetti che coinvolgono colleghi e alunni. Pensiamo, come esempio, alla figura del Docente che accetta di gestire una delle Funzioni Obiettivo, nella Secondaria di II grado, deliberate dal collegio Docenti: tutto fila liscio (si fa per dire) fin tanto che quel docente espone i suoi criteri programmatici, declinando (quando va bene) tempi, monitoraggio e valutazione finale; il vulnus interviene in seguito, a fine anno, quando, nel generale disinteresse accaldato, affaticamento e scontento pre-esame di Stato, all'ultimo collegio docenti dell'anno scolastico, è prevista la relazione finale/valutazione di ciascuno dei docenti Funzione Obiettivo. Si tratta di un momento topico.
Seguiteci, siate fiduciosi, nella sala in cui il collegio è riunito, evitate di farvi distrarre da chi nelle ultime file chiacchiera a voce alta di tutto tranne che di problemi scolastici, e neppure prestate attenzione a quei docenti delle file laterali che in preda all'ansia continuamente si alzano dal loro posto, chiedono la parola, polemizzano con i vicini, insomma concentratevi sul tavolo della presidenza e su quelle quattro, cinque figure, pronte a parlare: la persona che evidenzia un innegabile imbarazzo è quella al centro, il Dirigente scolastico che, prima di dare la parola ai Docenti ritiene di doverli ringraziare del lavoro svolto egregiamente e vuole sottolineare che ciascuno ha operato come meglio non sarebbe stato possibile. Le parole non corrono fluide, sono pronunciate con una sorta di sofferenza e al di là del loro significato, che è chiaro, semplice, comunicano solo, da parte del Dirigente, un'imbarazzante richiesta al collegio: per favore, rinnovate l'incarico a questi Docenti!
Perché ? vi state chiedendo perché? Sostanzialmente per due motivi. Il primo: non è facile reperire altri docenti che si sobbarchino questi incarichi "piovuti" dal Ministero e il dirigente non può permettersi di non "esibire" docenti funzione obiettivo, e poi come lo giustifica nel POF (Piano dell'Offerta Formativa)?. Il secondo motivo è tutto di... metodo: non rinnovare l'incarico potrebbe far pensare che si voglia criticare l'operato del collega, e questo sarebbe ingeneroso. Visto che il monitoraggio –se pure era previsto- non è stato mai fatto, sarebbe davvero ingiusto avanzare ora obiezioni.
A questo punto, le cose evolvono come ...devono: a) il Dirigente trova la forza, facendo leva sulla stanchezza della platea, di proporre il reincarico per ciascuno per acclamazione (sic!); b) i lavori proseguono, le relazioni individuali vengono lette e ogni volta il collegio vota per alzata di mano l'approvazione (scontata).
Se pensate che abbiamo inventato per sadismo una situazione limite, vorremmo chiarire che di inventato non c'è proprio nulla e che molta fiducia al contrario ancora nutriamo sulla disapprovazione che colleghi sempre più numerosi esprimano per simili situazioni.
Il punto è: ma il monitoraggio e la valutazione che fine hanno fatto? Valutiamo continuamente gli alunni e siamo convinti che sia nostro dovere farlo, MA avvertiamo un disagio profondo se la valutazione riguarda una nostra attività e la interpretiamo immediatamente come un giudizio sulla nostra persona.
Non è il caso di analizzare le cause profonde di un simile comportamento generalizzato, ma due cosette vanno chiarite: il sentirsi messi in discussione come persona svela inequivocabilmente che non ci è chiara affatto la distinzione tra la nostra identità e il nostro ruolo (in questo caso nel contesto lavorativo) e non intendiamo nel nostro ruolo impegnarci accettando sfide suggerimenti, cambiamenti, meno che mai strutturali, decisi ad ignorare che tutto intorno a noi si modifica, dall'alunno al contesto, dalla società al docente.
E se fosse vero, come scrive Gaetano Domenici che "in estrema sintesi, le più nobili finalità sociali assegnate con tanta enfasi alla formazione e all'istruzione in molti paesi, compreso il nostro, possano o non possano raggiungersi a seconda delle capacità e delle condotte culturali e professionali dei docenti."?
Dunque allontaniamoci un po' dal noi e...rechiamoci nel mondo in cui controllo e consulenza contano con fiducia sulla qualità dei loro professionisti codeterminano la trasformazione degli esiti nell'istruzione e nella formazione e che vengono sostenuti con una pluralità di opportunità.
Liana Gerbi
Docente /Counselor
Giancarla Mandozzi
Docente Counselor
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Chi Forma i Formatori e i Genitori?
SAPERE -SAPER FARE -SAPER
"ESSERE" ....
Avete mai sentito parlare di Schoolcounseling ?
E' la formazione specialistica di docenti e la predisposizione di sportelli di
Schoolcounseling nelle scuole , per "facilitare il dialogo" mediante
acquisizione di tecniche di relazione empatica (counseling) e agevolare negli
allievi il superamento delle problematiche legate al mondo della scuola
(difficoltà di inserimento nel gruppo classe, conflittualità con i compagni e
con i docenti, disorientamento rispetto allo studio ed alle scelte future,
riflessi e conseguenze di situazioni pregresse legate al contesto familiare ed
affettivo che ricadono nel rendimento scolastico dell'alunno)
La Formazione intende rivolgersi
prevalentemente a docenti delle scuole medie e superiori , con particolari
attitudini alla comunicazione ed all'ascolto, che acquisiscano una nuova
professionalità destinata ad espandersi anche in rapporto alle esigenze comunitarie,
orientate ad una integrazione dei saperi e di nuove metodologie di intervento.Sono una Docente di una scuola di frontiera romana…
Sono formata in Counseling scolastico….ma ho sempre lavorato PRIMA di TUTTO sul
POTENZIALE UMANO", sulla facilitazione della comunicazione.I mass media ,le nuove tecnologie SEMBRANO rendere la vita piu' ricca e facile
… ma il valore… il TESORO che e' in ognuno di noi nella nostra UNICITA' ed
IIRRIPETIBILITA' chi riesce a TRARLO fuori con sapiente arte MAIEUTICA?EDUCARE = EX DUCERE = PORTARE FUORI
Che cosa ?
LA parte MIGLIORE di NOI !!!Quanti Insegnanti oltre che dispensare SAPERE … COMUNICANO SAPERE e sollecitano
il POTENZIALE che c'e' ESISTE nell'allievo?
Quanti Genitori
COMUNICANOEFFICACEMENTE e sollecitano il TALENTO che c'e'.. ESISTE nel figlio/a
se prima non hanno messo in discussione loro stessi?Purtroppo sono per primi gli INSEGNANTI oltre ai GENITORI talvolta a
MORTIFICARE lo sviluppo del potenziale … non riconoscendolo per primi DENTRO di
LORO .Se si giunge a questi estremi e' sicuramente dipeso dal sociale in cui viviamo
:
sociale famiglia
sociale scuola,
sociale in cui gli interessi prevalenti spesso LOBOTOMIZZANO il cervello.ricordate il film MATRIX?Se puo' interessare già dagli anni '70 Thomas Gordon si interessava
dell'efficacia dell'insegnamento e della genitorialità:Gordon propone alcune metodologie utili in classe per creare
un'efficace relazione fra insegnante e allievo e fra gli allievi stessi ,tra
genitori e figli .Il clima è quello rogersiano: grande importanza rivestono l'accettazione,
l'autenticità, l'empatia, la corretta comunicazione nel rapporto fra adulti e
giovani al fine di promuovere l'autofiducia, l'autocontrollo, l'autodisciplina,
la creatività, sviluppando così negli studenti il senso di autonomia e di
responsabilità, nonché la capacità di contribuire nel definire le regole che
governano la vita della classe.
Gordon, considera che genitori ed insegnanti, pur mossi da buone intenzioni,
tuttavia non sempre riescono ad aiutare i ragazzi nel risolvere le loro
difficoltà, poiché si rapportano in modo sbagliato, ne bloccano la creatività,
ne diminuiscono la fiducia in sé stessi, …Gli insegnanti e i genitori trascorrono molto del loro tempo ad imporre
la disciplina.
I metodi basati sul potere e sulla repressione, anche se riescono a causare
momentaneamente un cambiamento nel comportamento dello studente/figlio , di
solito provocano resistenza, ritorsioni, ribellioni.
Il linguaggio tradizionale connesso al potere è costituito dall'uso di termini
come :punire, minacciare, porre dei limiti, mantenere l'ordine, controllare,
dirigere, ordinare, sgridare, esigere, disciplina, rigidità, …Il problema della disciplina può essere risolto con l'autoritarismo o il
permissivismo, entrambi metodi inadeguati, che implicano forte stress ed un
rapporto di forza che sfocia inevitabilmente nella dinamica vincitori e vinti;
con l'aggravio, per questi ultimi, del senso di sconfitta e sentimenti di
rancore e rivalsa.Il problema del ruolo evidenzia come 'l adulto ,insegnante o adulto che sia
tema di apparire per quello che egli è, con pregi e difetti, … e si mostri come
persona che "sa tutto", non sbaglia mai, non perde mai la calma.Gordon si propone di insegnare a impostare una relazione efficace con gli
studenti, ed a gestire le dinamiche interne di una scolaresca attraverso:
• procedimenti che portano l'insegnante a "trasformare sé stesso" nel modo di
trattare con gli allievi;
• insegnare ai docenti e genitori ad incoraggiare e stimolare maggiori
responsabilità nei giovani a loro affidati.Tre sono le tecniche fondamentali che il metodo Gordon propone per modificare i
comportamenti inadeguati:
1. l'ascolto attivo;
2. il messaggio in prima persona;
3. la risoluzione dei conflitti con il metodo del problem solving.Il problema della disciplinaGli insegnanti trascorrono molto del loro tempo ad imporre la disciplina.
I metodi basati sul potere e sulla repressione, anche se riescono a causare
momentaneamente un cambiamento nel comportamento dello studente, di solito
provocano resistenza, ritorsioni, ribellioni. Il linguaggio tradizionale
connesso al potere è costituito dall'uso di termini come punire, minacciare,
porre dei limiti, mantenere l'ordine, controllare, dirigere, ordinare,
sgridare, esigere, disciplina, rigidità, …
Un'alternativa valida può essere offerta dall'uso di un nuovo vocabolario, che
contiene parole come confrontarsi, collaborare, cooperare, andare
d'accordo,mediare, negoziare, rispondere alle esigenze, risoluzione di
problemi, …L'esperienza di Gordon, nei corsi "Insegnanti e genitori efficaci" ha portato a
evidenziare, per la maggioranza degli adulti, una sorprendente mancanza di
comprensione del rapporto insegnante–studente , genitore - figlio e spesso dei
rapporti umani in generale.
L'autore afferma che pochi insegnanti e poschi genitori hanno un modello che
serva da riferimento per guidare il loro stesso comportamento.Ma…………………… CHI FORMA ………….. I FORMATORI .... se PRIMA NON HANNO
"FORMATO" LORO STESSI ?
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
Intelligenza Migliorare le abilità cognitive con cooperative learning
Docente Counselor facilitatore
Migliorare le abilità cognitive
L'insegnante o tutor che sia attento alle problematiche
relazionali degli studenti e voglia svolgere un'azione efficace, è spesso
chiamato a lavorare o a collaborare al rinforzo di alcuni aspetti
dello studente, da cui un'azione didattica efficace non può prescindere.
Il primo riguarda l'autostima dell'utente, spesso a bassa scolarità, con
trascorsi scolastici non felici, che può venire accresciuta e riconfermata
attraverso messaggi positivi dell'esistere e dell'essere in grado di fare.
Accogliere quindi una persona con cordialità, salutarla, stringerle la mano,
interessarsi a i suoi problemi e incoraggiarla costantemente nel percorso di
apprendimento, cercando di sottolineare le tappe raggiunte, sottolineando i
piccoli o grandi progressi e le capacità che riuscirà ad acquisire.
Un'altra
arma potente è il modellamento, ovvero il processo attraverso il quale un
insegnante 'agisce' un comportamento, dimostra cosa e come si apprende: un
metodo utile sia per insegnare competenze sociali sia per far riflettere sui
processi metacognitivi.
Il secondo aspetto riguarda l'autoefficacia che può essere enormemente
accresciuta nel riconoscersi capaci di svolgere compiti in modo autonomo e di
scegliere un ruolo attivo nel percorso di apprendimento. Il docente deve
valorizzare le modalità individuali di apprendimento e utilizzare modalità
cooperative di condivisione di risorse e di codecisione.
Altro aspetto riguarda la motivazione del soggetto in apprendimento che
deve essere costantemente rinforzata.
Le strategie dell'apprendimento cooperativo sono estremamente efficaci nella valorizzazione delle risorse individuali e a questo tema ho dedicato un altro contributo che è già in rete, nella medesima rubrica sulle competenze comunicative.
Aggiungo tuttavia una scheda riepilogativa sui
vantaggi del cooperative learning:
innalzamento delle conoscenze del gruppo
maggiore coinvolgimento dei soggetti più timidi o meno strutturati
superamento di pregiudizi e di barriere comunicative interpersonali
acquisizione di competenze sociali
acquisizione di competenze comunicative
assunzione di responsabilità rispetto ai propri obiettivi
accresciuta motivazione allo studio
capacità di trasferire le capacità cooperative in ambito extrascolastico.
valorizzazione delle risorse individuali (anche minime) e competenze
personali
Docente come Maieuta
Per quanto riguarda il ruolo del docente nell'ambito dell'apprendimento
cooperativo, all'insegnante spettano compiti di: interdipendenza positiva,
uso delle competenze sociali revisione e controllo costante del lavoro
svolto.
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
Il corpo urla ciò che la bocca tace
CRISI COME OPPORTUNITA'
Viviamo male perché stiamo male o stiamo male perché viviamo male ?
Corrispondenza e Riflessioni di Counselor
Carissima
mi dispiace che tu sia "peggiorata" ,so cosa significa, so come ci si "sente", anche se non posso essere in Te .e non posso "purtroppo" aiutarti...!!!
Questi momenti della vita non misurabili nel tempo ,,ti faranno RITROVARE, non so quando, non sai quando ma piu' FORTE, proprio perchè saprai riconoscere i sintomi di eventuali ricadutepsicofisiche!!!
Sono certa che in questo periodo stai "metabolizzando" il Tuo vissuto fino ad OGGI,
Sai solo Tu quale è stato il TUO VISSUTO nel bene e nel Male fino ad ora!
Sei una ragazza/donna molto in gamba.
Ho notato da subito che oltre le Tue grandi capacità Mnemoniche e di Rieleborazione di contenuti, hai una PADRONANZA dei vissuti esperenziali delle persone che solo chi li ha esperiti di persona può trasmetterli, cosi' almeno mi pare.
Il nostro corpo e' come una cartina al Tornasole e, a volte ,bisogna lasciarci guidare da ciò che LUI (il corpo) ci chiede:
Movimento?.... Calma...? Fermata...? Pianto...?
Leggi i messaggi, e chiedi AIUTO a chi te lo può dare QUALITATIVAMENTE.
I farmaci aiutano (e non) a risolvere problematiche che si trovano insite ,insinuate nel nostro corpo.
Quando Ti ho conosciuta eri molto CARICA.... sempre con la pennetta "roteante", poi nostra "CHIARISSIMA" docente che tra giochi e problemi familiari si barcamenava riuscendo sempre ad essere puntuale , ricca di contenuti ,e presente.
Quante RISORSE HAI... !!!
Cosa vuole il Tuo corpo?
Mi dici che Ti muovi , Vai, Mi dici che ti è costato andare in viaggio ultimamente.
Muoversi COSTA, in TEMPI ed ENERGIA.
Tu hai una grande carica energetica,capacità organizzativa e comunicativa.
Proprio Tu facesti un esempio," lasciate che il fiume scorra senza ostacoli ed eviterà la piena , lo straripamento .Le DIGHE ci proteggono per un po' ma poi..........
Lasciare che le cose accadano, non opporsi , arrendersi talvolta, pensare di essere FINITI, sentirsi .. MORTI...
Tutti stadi da molti "interpretati", vissuti, esperiti fino a pensare che QUELLA ORMAI fosse la VITA...
Ma no, anche la MALATTIA se lasciata libera di insinuarsi , di OCCUPARCI …. ci PERMETTE di OCCUPARCI di NOI , poi ci RENDERA' una nuova linfa .
Si dice che "ad ogni svuotamento corrisponderà una nuova pienezza".
Abbi cura di Te in attesa di RIPRENDERE la VITA nelle TUE mani .ci vuole tempo a giungere all'acme e ci vuole tempo per RI-TROVARCI.
Obiettivo da raggiungere se ce la possiamo fare in questa vita sarebbe quello di attivare le risorse del potenziale umano che e' dentro OGNUNO di noi ...
La crisi sia opportunità di crescita e cambiamento , sia l'inizio di un viaggio portatore di nuove energie e opportunità
Ti abbraccio
Tua Counselor
"Il corpo della libellula è esile ma attraversa danzando la tempesta"
Detto ZEN
CHI FORMA I FORMATORI ?
Prof. Liana Gerbi
IL COUNSELING - UNA PROFESSIONE DUE
VOLTE NECESSARIA
Il Counseling nasce negli Stati Uniti nel corso degli anni '30 per assicurare, come asserisce Rollo May (uno dei Padri della Psicologia Umanistica), "riconoscimento professionale a tutti coloro che, pur non avendo, né volendo il titolo accademico di psicologo o psicoterapeuta, svolgono o intendono svolgere un'attività che esige una buona conoscenza
della personalità
umana".
Carl Rogers, (altro padre fondatore della Psicologia Umanistica) nella sua "Psicoterapia di consultazione", la prima opera sistematica sulla professione di Counselor pubblicata negli StatiUniti nel 1942, scrive:
"Ci sono molte persone la cui professione consiste soprattutto nell'avere colloqui con chi a loro si rivolge per determinare, mediante contatti personali, modificazioni costruttive del proprio atteggiamento e comportamento. Si chiamino essi psicologi, consulenti psicologici scolastici o aziendali o matrimoniali, assistenti sociali, psichiatri od altro, qui ci interessano
solo se, dopo i
colloqui con loro, l'eterno indeciso, la coppia in crisi, il fallito, il
disadattato o il delinquente trovano meno difficile affrontare in modo
costruttivo i loro problemi e la realtà della vita.
A questi colloqui possiamo dare nomi diversi. Possiamo chiamarli, con espressione semplice e descrittiva, colloqui terapeutici: più spesso, però, vengono definiti globalmente counseling. Oppure questi colloqui, intesi a proporre rimedi e cure, possono essere chiamati psicoterapia. In quest'opera, i vari termini saranno utilizzati più o meno indifferentemente, poiché sembrano riferirsi allo stesso metodo fondamentale: una serie di colloqui personali, finalizzati ad aiutare la persona assistita a modificare positivamente i suoi atteggiamenti e comportamenti.
Si è notata la tendenza ad usare l'espressione "counseling" per i colloqui più superficiali e meno continuativi ed a riservare il termine psicoterapia per i colloqui approfonditi e prolungati, volti ad una riorganizzazione più radicale della personalità. Ma sebbene questa differenziazione possa avere una sua validità, è ugualmente chiaro che il counseling più intenso ed efficace non è distinguibile da una psicoterapia altrettanto intensa ed efficace" Ho citato abbastanza ampiamente l'introduzione all'opera fondante e fondamentale di Rogers perché le sue affermazioni contrastano in modo stridente con quelle del recente manuale di una scuola italiana di counseling che recita testualmente:
"Il Counselor non fa terapia, non presta cure di nessun genere, non fa psicoterapia, non fa consulenza, non insegna psicologia e genericamente non usa mai il prefisso psico [...]Va evidenziato in particolare che il counseling psicologico è un'attività di esclusiva competenza del ruolo professionale dello psicologo".
E più avanti: "La personale competenza culturale (leggi laurea) o competenza professionale (leggi medico o psicologo) esulano totalmente dalla qualifica di competenza del counselor".
Dietro a questo deprimente contrasto tra la realtà storica e professionale del counseling e la sua arzigogolata e oscura definizione italiana sta la nostra assurda e corporativa legislazione in materia di psicoterapia che, in contrasto con quanto accade negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi dell'Occidente avanzato, ha preteso di escludere dalla psicoterapia chiunque non sia laureato in medicina o in psicologia.
E' una legislazione che, come tutti sappiamo, ha voluto statalizzare una formazione professionale, quella dello psicoterapeuta, nata e cresciuta negli studi dei liberi professionisti (quali furono, salvo rare eccezioni, tutti i grandi maestri della psicoterapia) e nell'ambito di scuole private e libere e che, per soddisfare gli appetiti di baronie accademiche tanto avide quanto incompetenti, ha validato solo i diplomi delle scuole di formazione approvate dalle baronie stesse, facendo quintuplicare i costi della formazione e consegnando l'Ordine degli Psicologi e degli Psicoterapisti, composto per 4/5 di liberi professionisti, ad
esponenti della burocrazia sanitaria ed accademica.
Questa legislazione, come pure è noto, è da tempo severamente criticata in sede
europea.
Nel Congresso Europeo di Psicoterapia svoltosi nel 1998 a Parigi, i rappresentanti della professione psicoterapeutica di 36 paesi europei hanno denunciato la nostra legislazione statalista definendola una violazione del diritto umano alla scelta del metodo terapeutico e, con una marcia solenne alla Piazza del Trocadero, hanno ribadito la Dichiarazione di
Strasburgo che
definisce la psicoterapia "una professione libera e indipendente" da non
riservare solo a medici e psicologi.
Ma, al di là dei problemi di libertà personale e di indipendenza professionale così grossolanamente violati dall'attuale legge italiana in questo campo, c'è un problema basilare di contenuti e di efficacia che l'odierna legislazione italiana in materia psicoterapeutica, e gli orientamenti ad essa ispirati in tema di counseling, sembrano ignorare totalmente, con grave danno dell'utenza. Ed è il problema della qualità umana del professionista che svolge queste delicatissime attività.
La nostra legislazione, conforme ai criteri nozionistici e burocratici che ispirano tutto il nostro insegnamento universitario e che ci hanno assicurato il poco invidiabile primato europeo della fuga degli studenti dagli atenei e dei cervelli dai centri di ricerca, concede l'abilitazione a queste attività a chi abbia concluso un corso privo di qualsiasi contenuto umanistico e superato un'enorme quantità di esami teorici, spesso inutili ai fini professionali, senza alcun riguardo per la preparazione esperienziale e pratica e per le qualità attitudinali
del candidato.
Purtroppo, i criteri che si sono affermati in varie Scuole italiane di
counseling ricalcano le concezioni nozionistiche accademiche in fatto di
consulenza psicologica in ogni campo: da quello clinico a quello aziendale a
quello sportivo o scolastico.
Ma tutto ciò costituisce una flagrante negazione dei criteri che dovrebbero ispirare la
formazione in queste attività.
Sono criteri che lo stesso Carl Rogers, della cui scuola in Italia sono stato co-fondatore e presidente per diversi anni, mi ha confidato in una conversazione personale di 25 anni fa: "Vedi Luigi – egli mi disse – per parte mia io ho ammesso ai miei corsi di formazione e hodiplomato in psicoterapia centinaia e centinaia di persone che non avevano nessuna laurea,nessuna specializzazione e nessun altro titolo di studio universitario, ma avevano la qualità umana, la sensibilità, l'autenticità, la semplicità, il senso dei propri limiti, la capacità di comunicazione e attenzione empatica che sono la vera e unica base d'una psicoterapia e di
un
counseling efficaci".
Beninteso capisco che, fin quando l'attuale legislazione statalista resterà in
vigore in Italia, ogni formatore responsabile deve rendersi conto che con
questa legislazione dobbiamo fare i conti e che, quindi, può essere oggi
opportuno evitare scontri frontali con le norme vigenti proclamando che il
counseling non ha niente da spartire con la psicoterapia. Del resto, le parole
stesse "psicoterapia" e "paziente" hanno un carattere medicale e patologizzante
che ogni professionista maturo non ritiene applicabile alla maggior parte della
sua clientela. E, da psicologo umanista che vede nella dinamica emozionale e
nella sua bonifica il fulcro di tutto il proprio lavoro, credo che "counseling
emozionale" potrebbe essere
un termine idoneo a definire la nuova professione.Ma queste considerazioni giuridiche o filosofiche non devono a mio parere indurre le Scuole di formazione in counseling ad avallare la confisca e la distorsione della formazione psicoterapeutica ad opera del nozionismo e del corporativismo baronale ed a ricalcare su quei concetti distorti la formazione del counselor. Al contrario, chi prepara al counseling in Italia deve, a mio parere, considerare questa sua attività formativa doppiamente necessaria ed urgente nel nostro paese: sia perché si tratta di creare professionisti selezionati e formati secondo criteri non solo nozionistici ma anche e soprattutto attitudinali, sia perché si tratta di combattere e compensare la distorsione nozionistica e corporativa che l'egemonia baronale ha prodotto nel campo
psicologico e psicoterapico.
Insomma, una formazione valida del counselor dev'essere coerente con le radici storiche di questa figura e consapevole delle responsabilità storiche, sociali, scientifiche e culturali che caratterizzano questa professione ingiustamente emarginata dalle burocrazie accademiche.
Col counseling si offre dunque alla comunità professionale e scientifica italiana una grande opportunità di restituire alla libera professione, che le aveva storicamente generate, la psicologia e la psicoterapia europee, liberando queste due discipline dalla sclerotizzazione e burocratizzazione cui sono state condannate dalla casta accademica e dalla selezione a rovescio di stampo servilistico, conformistico, nepotistico (insomma,intellettualmente e moralmente mediocre) che questa casta si è voluta dare.
di Luigi De Marchi, (1937-2010) psicologo clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi pubblicati in Europa e in America (vedi nota in fondo).
Luigi De Marchi (nato a Brescia il 17 luglio 1937 e morto a Roma il 25 Luglio 2010) è stato psicologo clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi pubblicati in Europa e in America. Considerato il padre della psicosociologia italiana, è stato referente per l'Italia, fondatore e presidente di tre importanti scuole di psicoterapia: quella "Psico-corporea",quella "Bioenergetica" e quella"Umanistica" assieme a Carl Rogers. Nel 1986 fonda a Roma l'Istituto di "Psicologia Umanistica Esistenziale" che ha diretto fino all'ultimo giorno.
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Prof. Liana Gerbi